C’era una volta un bambino solo, era sempre solo, orrendamente solo.
Vagava, incarnando l’archetipo del viandante.
Sempre in cerca, ovunque straniero.
Un giorno accadde. Si trovò circondato da quattro giaguari. Il quattro, simbolo della totalità. Ormai spacciato.
Fu lì che un dogo, il cane cacciatore dei giaguari, intervenne. La lotta fu furibonda, ma alla fine, seppur a caro prezzo, ebbe la meglio.
Non si lasciarono più, uno accanto all’altro, uno nell’altro.
A volte, quando la luce colpiva in una certa maniera gli occhi di quel cane, in fondo ad essi si poteva cogliere lo sguardo del bambino.
Due sogni aveva quel fanciullo, nel frattempo diventato un monaco guerriero. Diventare l’uomo della medicina, stregone e sciamano, ed imbarcarsi un giorno su una baleniera, per osservare le balene, i grandi cetacei, immergersi dinnanzi alle coste dell’Islanda, nelle profondità dell’abisso. Chissà poi perché?
Una storia era rimasta impressa nella sua mente. Si racconta che le piccole balenottere non affrontano da sole le acque gelide delle profondità. Hanno bisogno che la madre le accompagni, che s’immerga con loro. Quella mamma, che il bambino sentiva di non aver mai avuto.
Dopo quel viaggio, poteva pure morire.