Un writer, su un muro di Milano, ha scritto: “il futuro non é più quello di una volta”.

Ecco, noi, padri, dovremmo essere in grado di ridarglielo.

Potremmo essere d’accordo, ma se non ne siamo capaci, come fare?

Come diventare padri “sufficientemente buoni”?

In fondo non aspiriamo alla perfezione, ci accontentiamo della sufficienza.

Il cammino tuttavia è irto lo stesso. Sulla maglietta di mio figlio c’è scritto: “guida, non farti guidare”. Con queste premesse, indirizzarlo, non è un compito semplice.

Il discorso si complica, non di poco. Contano infatti i modelli incontrati, i nonni che hai avuto, il genitore che ti è toccato, il maestro che ti ha formato. Alla fine, dunque, è soprattutto una questione di come la propria personalità si è forgiata. Per questo, il compito di educare un figlio, comincia venti anni prima della sua nascita.

Ricordo ancora la mia maestra, la signorina Di Seri, che ci faceva cantare, rigorosamente sull’attenti, Fratelli d’Italia, o Il Piave mormorava calmo e placido al passaggio, dei primi fanti il 24 maggio. Con lei sentivi che dietro le tue spalle c’era una Patria. In greco “pater” è padre, dalla radice “pa-”, possedere, nutrire, comandare; “patria” invece, o “patris gaia”, significa terra dei padri. Se mi comportavo male, durante la ricreazione, non esitava a tirarmi dietro le chiavi. Poi, quando a casa me ne lamentavo, prendevo anche il resto.

Anche Ettore, questo ci consola, qualche difficoltà la mostra. Inaspettatamente infatti, quest’uomo senza hybris, non arrogante, non riesce a chinarsi verso il bambino: ne è spaventato. Non entra in sintonia con lui, non sente l’infanzia dentro di sé, la troppa consuetudine con adulti guerrieri lo rende estraneo ad essa. Forse gli necessita il sorriso della moglie. Solo allora, infatti, si sfila l’elmo, lo pone a terra e abbraccia suo figlio, finalmente rassicurato. Per poi sollevarlo in alto, con le braccia, pregando.

Zeus e voi altri dei, rendete forte questo mio figlio. E che un giorno, vedendolo tornare dal campo di battaglia, qualcuno dica: “E’ molto più forte del padre.”

Un padre davvero generoso. Che ogni padre possa dire davanti al proprio figlio: “Egli deve crescere e io invece diminuire.” (Giovanni 3, 30)

Difficile, dicevamo, è il suo compito: se lo vede solo con le armi, continua Zoja, il figlio non lo riconosce; se non lo vede mai con le armi, non lo riconosce come padre.

Attenzione poi alla corazza, che protegge ma isola, a volte anche dal figlio. Ci ricorda ancora l’autore che, secondo un mito etimologico la corazza, dal latino “cor “ cuore, é ciò che protegge il cuore. Ma se non si smette mai l’armatura, succede che la si indossa anche di fronte a chi non ha nulla di aggressivo. E poi ci si abitua ad avere dei movimenti rigidi, limitati.

Ed i figli, oggi, come stanno?

Non molto bene, purtroppo.

Aumentano i giovani che si affidano solo al gruppo, sostituendo il padre con i capibanda. La cronaca è piena di episodi criminali da loro perpetrati. Pestaggio dei diversi (gay, tifosi di avversa fazione, appartenenti ad altri schieramenti politici o extracomunitari), episodi di bullismo, scippi, rapine, stupri di gruppo, lancio di sassi dai cavalcavia, omicidi, anche dei propri congiunti, accoltellamenti per futili motivi. Suicidi.

E anche quando non emergono fatti interessanti per la cronaca, un ospite inquietante siede alla loro tavola: il nichilismo, cita Umberto Galimberti.

Tanti Pinocchi abbandonano Geppetto, per inseguire Lucignolo. Non ascoltano nessun Grillo Parlante, qualora se ne incontrasse uno. Spesso, però, Geppetto non c’è. Non brilla solo la sua di assenza.

In una recente intervista radiofonica la Professoressa Anna Oliverio Ferraris, a proposito dello stupro di gruppo (sette minorenni ed un maggiorenne) ai danni di una sedicenne di Scampia, si chiedeva: “quali modelli forniamo a questi giovani?”

Il problema dilaga: è diventata una questione culturale, sociale e non più solo familiare.

Veline, letterine, tronisti, escort di successo, la fanno da padrone. Ad un evento culturale, come la Mostra del Cinema di Venezia, è stata accolta come una diva la signora D’Addario.

I ragazzi di oggi crescono in una sorta di stato selvatico, senza riferimenti se non quelli del gruppo, ed il più pazzo, spesso, viene eletto capo, leader. E’ lui che decide: questa sera si picchia, questa sera si corre in moto, questa sera si fa surf sul tetto di un treno, questa sera, giovani proci, si azzanna una povera Penelope.

I tempi sono cambiati, è vero: una volta i peggiori di noi riuscivano “solo” a far esplodere una miccetta, legata ad una povera lucertola.

L’85% dei detenuti maschi americani sono senza padre.

Educazione al controllo serve, oppure sono senza freni inibitori, fanno quello che vedono fare in tv, al reality o al telegiornale.

Una pubblicità di successo, era della Pirelli, recitava: “La potenza è nulla senza controllo.”

Inquietante anche un altro fenomeno, descritto da Zoja nel libro “La morte del prossimo”, quello dei “Hikikomori”. In inglese “neet”, che sta per “Not currently engaged in Employment, Education or training”, ossia “Al presente non impegnati in lavoro, studio o trocinio”. Sono, questi, dei giovani assenti dalla vita. Giovani che hanno abbandonato scuola, lavoro, vita sociale, da almeno sei mesi. Di solito primogeniti o figli unici di famiglie benestanti. Sono degli eremiti, chiusi a chiave nella loro stanza, svegli preferibilmente di notte e dormienti di giorno, ai quali i genitori lasciano il piatto con il cibo fuori la porta, collegati al resto del mondo solo da un computer. Mostrano difficoltà di ideazione, volontà azzerata, insufficiente progettualità, insicurezza, ansia. In genere il padre è silenzioso e assente.

A proposito dell’assenza, mi colpiva una frase riportata dall’autore a proposito di una sua paziente: “Il padre contadino era un tiranno, ma era un padre. Il padre operaio di oggi è un cretino seduto davanti alla tv.”