“Il deserto cresce“, scriveva Nietzsche nello Zarathustra.
Cosa intendo dire, prendendo in prestito questa celebre frase?
Lo vedremo.
Intanto voglio suggerire l’importanza di creare un avamposto. Lo chiamerò Nantucket, che nel Moby Dick di Melville, è l’ultimo avamposto degli uomini prima dell’incontro con il Leviatano. Chi è il Leviatano oggi? Come affrontarlo? Come fermarlo?
Massimo Cacciari, nel suo saggio “Il potere che frena”, illustrò con chiarezza il concetto cristiano di un qualcosa o qualcuno che frena (to katechon) l’arrivo del Maligno. La Natura, la bellezza, la poesia, la spiritualità, possono giocare un ruolo? Chi è il Maligno?
Vorrei riflettere su questioni apparentemente slegate: il monopattino, il telefonino e i social, google, il telecomando, la serranda elettrica, la casa domotica, Siri l’assistente dell’IPhone, l’intelligenza artificiale, l’asciugatrice, Just Eat, la pornografia, le droghe, l’alcol, le slide senza narrazione, Amazon, google traduttore, Wikipedia, le interrogazioni programmate, le interrogazioni dal posto, i BES (Bisogni Educativi Speciali), le microcar.
Qual è la condizione giovanile oggi? I giovani rappresentano l’Oriente, sono portatori del nuovo, di quell’anice stellato che i mercanti conducevano da terre lontane. Lo sono ancora, oggi?
Purtroppo molti sono affetti da una malattia terribile, prigionieri di quello che i monaci chiamavano il “demone meridiano”: stiamo parlando dell’accidia e delle sue tante teste. Un’accidia, sostiene Francesco Borgonovo (Aretè, Liberilibri), che non è pigrizia ma spossamento, rinuncia, mancanza di volontà, perdita di forza e iniziativa, torpore.
Tutto ciò che favorisce una vita comoda, prima abbiamo fatto un elenco approssimato per difetto, toglie forza, virilità, che in questa accezione è una caratteristica tanto maschile quanto femminile. Le teste (le tante teste dell’accidia, NdR) invece si chiamano depressione, malinconia, fragilità, pessimismo, nichilismo, disorientamento, asessualità, calo del testosterone, incapacità di decidere, dipendenze, insonnia, disturbi alimentari, noia, caos, accelerazione, ADHD (Disturbo da Deficit di Attenzione/Iperattività), intolleranza alla frustrazione.
Un discorso a parte merita la mancanza del desiderio, è questa “L’epoca delle passioni tristi“, suggerivano Miguel Benasayag e Gérard Schmit. Non c’è più una cattedrale da costruire, la pietra d’angolo da posizionare. Il cielo è chiuso, la speranza svanita. Tutto questo genera quella che è, forse, la patologia più nominata del nostro tempo, e la testa più inquietante da affrontare: l’ansia e le sue sorelle, ossia l’angoscia e il dominio del Dio Pan, l’attacco di panico. In compagnia poi degli altri disturbi legati alla paura, come il DOC (Disturbo Ossessivo Compulsivo) e le fobie.
Una generazione del tutto tremolante.
Un best seller del 2024 è stato il libro di Jonathan Haidt, psicologo sociale americano, eloquentemente intitolato “La generazione ansiosa”, edito da Rizzoli. Secondo lui, l’accesso a internet e ai social ha fatto si che questa epidemia scoppiasse.
Il filosofo Byung Chul Han, già diversi anni fa, definiva l’Occidente come la “società della stanchezza”. Il religioso barnabita Padre Antonio Gentili sostiene, giustamente, che ci siamo “infrolliti”. Lo psicanalista junghiano Claudio Risé suggerisce, invece, di ritrovare il nostro lato selvatico (“Il maschio selvatico”). Baumann, con un’espressione felice, parlava di “società liquida”. Ma oggi, ad essere liquidi, sono soprattutto i giovani. Il liquido, è evidente, assume la forma del contenitore nel quale è contenuto. Oggi i contenitori, purtroppo, sono gli influencers, le visualizzazioni su tiktok.
Per Nietzsche il nichilismo è la mancanza di un fine, manca la risposta al perché, tutto è insensato. Umberto Galimberti l’ha definito “l’ospite inquietante”.
Non ci sono più motivazioni, ma solo pulsioni. Come novelli Bartleby (“Bartleby lo scrivano”), lo scrivano protagonista del romanzo di Herman Melville, ripetono “preferirei di no”. Dicono no alla vita e finiscono, come il protagonista del romanzo, in prigione, prigionieri di una immobilità senza senso. Non sapendo gestire la pressione, vanno in crisi di fronte alle difficoltà e preferiscono ritirarsi, rinunciano alle sfide invece di provare a vincerle. Oggi si parla spesso dei Hikikomori, ma anche senza arrivare a tanto, di “preferisco di no”, purtroppo, ne vengono detti molti.
Il deserto cresce, dicevamo all’inizio.
Vivono in una bolla artificiale, nutriti, anzi super alimentati da cibo spazzatura, accuditi, mantenuti in un brodo tiepido. Viene in mente una scena inquietante del film Matrix, nella quale gli essere umani pensano di vivere, mentre in realtà sono immobili all’interno di un bozzolo, di una capsula, di una realtà illusoria. Matrix, lo ricordiamo, è una potentissima tecnologia di neuro-simulazione che costruisce una realtà fittizia nella mente delle persone. Credono di vivere, in realtà sono immobili nel loro sarcofago.
Il film, profetico, è del 1999. Il mondo, fuori dalle nostre case, non è tutto rose e fiori. Mi ha colpito una frase detta da uno dei protagonisti della serie Netflix “The Gentlemen”, ideata da Guy Ritchie. La frase, cito a memoria, recita così: “Loro (dice riferendosi agli aristocratici inglesi, NdR. E per estensione possiamo includervi tanti nostri giovani) vivono nello Zoo. Noi (intendendo noi criminali, NdR) nella Giungla”.
Prima o poi bisogna uscire dalla grotta, dall’arcinota zona di comfort, pena il non vivere. E fuori, nella giungla, fa freddo, si ha fame, paura, irrompe il “perturbante”, il “sinistro” capace di sconvolgere l’ordinarietà delle cose (Freud parlava di Unheimlich). Michele Serra, in un suo fortunato romanzo, definiva questi giovani “gli sdraiati”. Attenzione, parliamo di gioventù, ma questi fenomeni sconfinano e riguardano anche molti adulti.
Non si studiano più le tabelline, c’è la calcolatrice sul telefonino, non si imparano più a memoria le poesie. Questo ha determinato un calo della capacità di memorizzare, di prestare attenzione. Ci si informa sui social, ed ecco che lo spirito critico viene sostituito dall’algoritmo, dall’intelligenza artificiale.
Non ci si parla, ma ci si scrive e si utilizzano in abbondanza gli emoticon. Pertanto il linguaggio non è più fluente. Si fatica a scrivere un tema. Non parliamo poi della lettura. I libri sono banditi, sono oggetti del tutto obsoleti. Ecco allora che la comprensione del testo precipita, si approssima allo zero. Se abbiamo uno strumento che fatica al nostro posto, noi perdiamo la capacità di fare quel lavoro. Chi di noi saprebbe oggi destreggiarsi con Tuttocittà? Il navigatore satellitare ha fatto sì che la capacità di orientarci e di leggere una cartina, si atrofizzassero. Lo stress fa male, ma anche la totale mancanza di stress non va bene. Zoo o giungla?
Gli antidoti a tutto questo, purtroppo, non sono del tutto apprezzati dalla cultura dominante. Hanno nomi che risultano ruvidi ai più, quali fatica, sofferenza, regole, ordine, rispetto di se e degli altri, sacrificio, fame, riscoperta del lato selvatico, competizione, vita all’aria aperta, arti marziali, scoutismo, sforzo, sano superamento del limite senza sconfinare nel dionisiaco.
In fondo “E’ solo dolore”, dice Isaac, il protagonista maschile della serie Netflix “American Primeval”, a Preston Mote, il bambino ferito dallo zoccolo del cavallo, quando gli ricompone e stecca la frattura della gamba. Non dobbiamo allontanare il dolore, sia esso fisico che psichico, ma attraversarlo.
Le persone nate con menomazioni, come per esempio i focomelici, hanno un tasso di suicidio più basso delle persone sane. Come mai? Imparano prestissimo, non possono non farlo, a spostare l’attenzione da ciò che non hanno a ciò che hanno. Questo ha a che fare con la felicità. Avevo paura dell’acqua ma, fortunatamente, mia madre voleva che imparassi a nuotare. L’insegnante mi buttò dove non toccavo. Annaspai, ebbi paura, ma poi iniziai a nuotare. Oggi sono un amante dell’acqua ed un buon nuotatore. Non ricordo più chi fosse quel maestro, sicuramente oggi non sarebbe possibile un metodo di codesto tipo. Tutti ateniesi e nessuno spartano. Ma ricordiamoci che, narra la Storia, o forse la leggenda, gli spartani ai loro figli regalavano una barca, gli ateniesi una casa, un campo. Marinaio o agricoltore? Cosa vogliamo essere?
Ero lasciato spesso solo, da piccolo. Per vincere la noia creavo mondi, inventavo storie, fui costretto a diventare creativo, a rifugiarmi nei tanti libri di avventura di Emilio Salgari, che divoravo. Tutto questo mi ha aiutato e mi aiuta ancora, anche nel mio lavoro di psicanalista, perché facilita le associazioni, le amplificazioni, l’immaginazione, la costruzione di altri scenari. Oggi purtroppo si ha il terrore di annoiarsi, e si riempie ogni interstizio. Non ci sono più vuoti. Semmai si scrolla il telefonino o si guarda una serie. Se non ho accesso a tutto questo, ma ho un foglio ed una penna, dopo poco, probabilmente, comincio a scrivere, o a disegnare. Se ciò non accade, se non consento alla noia di operare, a lungo andare, il QI inizia a calare, la capacità di prestare attenzione si assottiglia. Le sinapsi non si creano, la plasticità del cervello si deteriora.
Così come cala oggi, lo dicono le ricerche, il testosterone. Probabilmente per una serie di fattori: poco esercizio fisico, ridotta vita all’aria aperta, paura delle relazioni, sempre più sostituite dall’uso della pornografia, vero killer della virilità e del desiderio dell’Altro reale. Come rabdomanti alla ricerca dell’acqua, oggi si utilizza, al posto della bacchetta di legno biforcuta a forma di Y, il telefonino. Alla ricerca di non si sa quale elemento vitale. Forse acqua virtuale di una vita virtuale, che non disseta, non ha sapore.
Tutto questo non significa che dobbiamo rifiutare la Tecnica, che in sé è una cosa buona, ma alle distorsioni, all’oltre misura. Non vorrei sembrare troppo pessimista, ma non ho molti elementi che mi convincono del contrario. Purtuttavia non possiamo non sperare in un nuovo Rinascimento.
L’Abruzzo evoca transumanza, pastori, bellezza, mare e terra. La montagna come nuovo avamposto? Forse questa è una visione romantica, troppo romantica. Certo è che abbiamo bisogno di luoghi con l’Anima e di educatori capaci di trascinare questa umanità fuori dalle sabbie mobili.
Occorrono genitori, uomini di fede, politici, che abbiano preso la “pillola rossa” della consapevolezza (Matrix docet), che si rimbocchino le maniche e si dedicano a questa umanità ferita.
In termini junghiani, abbiamo bisogno dell’integrazione degli opposti. La condizione giovanile, dicevamo, è dominata dal demone meridiano, che toglie forza, libido intesa come energia vitale, desiderio, illanguidisce. Si entra in una sorta di torpore immobile, senza scopo e senza senso. In qualche modo il tempo cessa di essere una retta e diventa ciclico. Tutto è ripetitivo, le giornate uguali le une alle altre. Una specie di steppa indifferenziata, che ricorda da vicino la follia. Gli esseri umani ragionano per polarità: bianco e nero, bene e male, altezza e profondità, cristiano e pagano, primitivo e civilizzato, amore e odio, calma e agitazione, ragione e follia.
Tempo pieno e tempo vuoto, tempo lavorativo e tempo di riposo. Non amano la steppa, dove c’è un’unica polarità. Il demone meridiano rompe la categoria degli opposti, e se gli opposti spariscono ci si perde, ci si spalma in orizzontale, si perde lucidità, consapevolezza. Occorre allora prendere gli scarponi e, come Ismaele prende il mare (Moby Dick, di Herman Melville, NdR), prendere la via del Gran Sasso. Costa fatica, è vero, ma grande sarà la ricompensa. Questo gesto va compiuto concretamente, ma soprattutto simbolicamente. Il Gran Sasso da affrontare, come il Leviatano, come il Moby Dick per il capitano Achab, è ciò che ci schiaccia nella vita, che ci terrorizza, siano essi elementi esterni che demoni interni.
Per far questo occorre coraggio, che non è virtù donata. La paura, si sa, si vince con un atto di coraggio. Di nuovo serve una famiglia che trasmetta questa capacità, un padre con la schiena dritta, che ci accompagni lungo i sentieri in salita, stringendo i denti con noi, una comunità, intellettuali coraggiosi, uomini ispirati da Dio, degli educatori e dei poeti.
Occorre il coraggio di Sam che, pur proclamando tremante queste parole: “Se faccio ancora un passo, non sono mai andato così lontano dalla contea, padron Frodo” (citazione a memoria, Il Signore degli anelli, di J.R.R. Tolkien, NdR), non abbandonò Frodo Baggins nella sua epica impresa.
Immobile e senza coraggio, mancherai al compito più importante della tua vita, quello che il fondatore della Psicologia Analitica, Carl Gustav Jung, chiamava il processo individuativo: “diventa ciò che sei”. Se sei una ghianda, devi diventare una quercia, non un castagno, o l’infelicità ti accompagnerà sempre.
Occorre però la pillola rossa, il coraggio, la “fortezza” in termini cristiani.
Farei nostra, per concludere, la poesia del poeta-sociologo Danilo Dolci, che così recita:
“C’è chi insegna
guidando gli altri come cavalli
passo per passo:
forse c’è chi si sente soddisfatto
così guidato.
C’è chi insegna lodando
quanto trova di buono e divertendo:
c’è pure chi si sente soddisfatto
essendo incoraggiato.
C’è pure chi educa, senza nascondere
l’assurdo ch’è nel mondo, aperto ad ogni
sviluppo ma cercando
d’essere franco all’altro come a sé,
sognando gli altri come ora non sono:
ciascuno cresce solo se sognato.”
Guardiamo al padre, alla cima del monte, alla luna, a Dio. Forse ce la faremo.
“sognando gli altri come ora non sono:
ciascuno cresce solo se sognato.”
Cesare Casagrande
psicologo, psicoterapeuta, psicoanalista junghiano

